Ho visto parlare questa signora durante l’assemblea del 15M di fronte al Parlamento Catalano un mese e fa e ora arrivo all’appuntamento con circa 2503 domande nella testa da rivolgerle. Voglio una soluzione. Ora.
Autora: Sara Beltrame – Spaghetti BCN. Barcellona in italiano
Lugar: Barcelona
Ma, davvero, perchè continuiamo a chiamarla “crisi”? Perchè non la chiamiamo “presa per il c..o”? Come si è arrivati a questo punto? Che peso hanno avuto e hanno ora gli Stati Uniti? Che peso hala Cina? Che cosa possiamo fare? Una Signora Economista come Miren puó dirmi come sará il mio futuro? Dove posso mettere i miei soldi per stare tranquilla? C’è un sistema alternativo alle Banche? Un sistema alternativo alle Banche etiche (che sono sempre “banche”)? Quanto pesano, se pesano, le manifestazioni di questi giorni e il movimento 15M? Che posso fare? Che possiamo fare? Che cosa dobbiamo fare? Come possiamo riprenderci? Che posso fare? Che posso fare?
Io camminavo sotto la pioggia, l’altro giorno, con un piccolo “ombrellinotreeuro” agganciato alla mano, buono solo per coprirmi la testa, ma tutto il resto stava inzuppato d’acqua: le mani, la borsa, i piedi, i pensieri gocciolanti. Era una pioggia umida e scrosciante, da foresta amazzonica, di quelle che i polmoni autoimplodono dentro al petto e ti senti soffocare. Camminavo e macinavo domande gonfie d’ansia. Ogni passo una domanda. Troppi passi, troppe domande. Ho visto parlare questa signora durante l’assemblea del 15M di fronte al Parlamento Catalano un mese e fa e ora arrivo all’appuntamento con circa 2503 domande nella testa da rivolgerle. Voglio una soluzione. Ora.
E lei c’è. Se ne sta lí seduta al tavolino del bar. Mi sorride tranquilla, elegante, pacifica come se niente fosse, come se attorno non si stesse consumando una guerra che ogni giorno fa sempre piú morti irraccontabili. Sembra rilassata come se non fosse anche lei una delle principali donne che resistono, combattenti. Quali sono le sue armi? Tanto per cominciare ha un ombrello vero – e da quanto tempo non ne vedevo uno – agganciato elegantemente alla sedia; poi ha due quotidiani aperti sul tavolo; poi ha uno dei suoi libri come segno di riconoscimento.
Eccomi qui di fronte a Miren Etxezarreta, economista critica, emerita professoressa dell’Universitá Autonoma di Barcellona.
Sbrighiamo le presentazioni e cerco nel cervello una domanda intelligente sulle 2503, ma purtroppo sul concetto di “Crisi” so solo quello che mi raccontano o che leggo o che ho visto nei documentari.
E ovviamente mi pare di iniziare con il piede sbagliato perchè anche se parliamo di numeri qui la soluzione non è una regola matematica. La soluzione pare risiedere in un nome, in un concetto nuovo dentro una nuova forma di vita, che ancora nessuno è riuscito a ribattezzare. Si puó dare una simile risposta in un’ora? No. Non si puó.
Ma scopriró solo alla fine che,dopo tutta quest’acqua che è scesa, dopo tutta questa fretta di sapere, dopo tutta quest’ansia di arrivare al dunque, sedersi a prendere un caffé e chiacchierare per sessanta minuti è sempre un buon inizio.
Potrebbe dirmi come sará il mio futuro?
Eheheh. Magari fossi una veggente! Sono solo un’economista, non posso raccontarti le cose come se guardassi dentro ad una sfera di cristallo. Ci sono dei fatti, si possono raccontare quelli, soprattutto per informare la gente sulla Veritá di quello che sta accadendo. Questo è quello che sento il dovere di fare. Potremmo iniziare da qui, che ne pensi?
Muy bien. Penso che sia perfetto.
La veritá è che la gente ne sa molto poco di quello che accade. La gente pensa alla Crisi come a una bestia da combattere, ma in realtá forse non sa nemmeno bene che significhi “crisi”. Cosí, aprofittando di questa ignoranza, gli Stati hanno iniziato – con la scusa del debito – a fare tagli al sistema sociale. Annullano molti dei diritti che avevamo acquisito in 50 anni di capitalismo – come il diritto ad un salario giusto, il diritto ad avere un lavoro, tutti i diritti sociali – per far uscire il capitale dalla grave situazione in cui si è ficcato.
Punto primo: la “CRISI” è la crisi del valore del Capitale, dentro al sitema capitalistico e non la si puó chiamare in altro modo. Il denaro ha perso valore con la speculazione finanziaria di questi ultimi anni. La perdita di valore del capitale, sta facendo perdere i vecchi livelli di vita di chi ne beneficiava, ampliando cosí la distanza tra ricchi e poveri. L’unico modo per tornare – per i detentori di capitali – ai livelli di vita passati è far “apretar el cinturon” alla gente come noi. Spremerci, sfruttarci, pagarci meno, tagliare dove si puó: scuola, salute, pensioni per esempio.
Non è sempre stato cosí. C’è stato un momento molto lungo nel quale il capitale ci ha fatto stare bene tutti quanti. Ma visto che non sono state prese decisioni sulla regolamentazione del flusso dei capitali, questo è il punto in cui siamo arrivati. Se questo processo continua – e temo che continuerá – si arriverá alla totale distruzione dello Stato Sociale. Poco tempo fa i lavoratori della SEAT hanno accettato un nuovo modello di lavoro – più pesante – senza aumento salariale per poter continuare a lavorare. In Italia è stato previsto un taglio di 65 milioni di euro. Da dove li prenderanno questi soldi? Questo non è il futuro, è giá il presente. Sta giá accadendo. È questo che la gente deve sapere. Se si distrugge lo Stato Sociale le conseguenze saranno – lo sono giá – tremende. Innanzi tutto il concetto stesso di Democrazia viene minato alla base dato che si accetta che sia l’economia a guidare uno Stato e non il contrario. Quando Zapatero afferma che “È il mercato che ci obbliga a fare i tagli”, il potere politico è giá stato inibito da quello economico.
Punto secondo: il concetto di Democrazia, all’interno del concetto della crisi del valore del capitale, viene meno, muore.
D’altro canto siamo dentro a questo sistema e dal mio punto di vista l’unico modo che abbiamo per salvarci è trovare soluzioni all’interno del sistema, non al di fuori. Far aumentare il valore del capitale abbassando i valori dei diritti sociali è un modo agressivo di risolvere il problema. Io credo che si possa invece trovare una forma diversa per uscire dalla crisi, per esempio ridistribuendo il capitale presente in una forma giusta, equa, senza toccare i diritti acquisiti. Il problema è che questo non interessa. Dentro l’attuale sistema capitalistico sono gli interessi di pochi a guidare le decisioni che ricadono su molti. C’è stato un momento nel quale ho pensato che forse le cose si potessero cambiare e fu quando Obama vinse le elezioni. L’immagine del capitale nell’”Era Bush” si era talmente corrotta che l’unica soluzione rapida per rivalutarla è stata quella di dargli una faccia nuova, fresca. Chi meglio di Obama – impegnato nel sociale, il primo presidente “di colore” ma non troppo, elegante, affascinante – avrebbe potuto adempiere a questo compito? Nessuno meglio di lui. Tutti ci sbagliavamo. Le persone che hanno guidato l’economia americana verso la crisi sono le stesse di cui Obama si è attorniato per continuare a guidare il paese. Nemmeno lui è riuscito a cambiare le cose…
Punto terzo: è possibile rimanere in un sistema capitalistico senza perdere i nostri diritti sociali, lasciando che il capitale smetta di crescere tanto o che cresca quello di altri stati in via di sviluppo (se questo fosse concesso ad un nuovo tipo di capitalismo).
Come si chiama questa forma politica? A dire il vero ha un nome, ma mi fa persino paura pronunciarlo tanto si è consumata la sua immagine nel tempo. Si chiamerebbe “Socialismo”. Ma, veramente, forse tutti insieme potremmo pensare di battezzarlo in un altro modo…D’altro canto ci sono esempi, negli Stati del Nord Europa, di come si possa gestire il capitale senza distruggere lo stato sociale. Quindi, certo che si puó fare qualcosa. Dal mio punto di vista le ultime grandi rivoluzioni si sono trasformate spesso in dittature perchè al loro capo c’era sempre un leader carismatico a guidarle. Sono arrivate alla gente, “dall’alto”. Quello che stiamo cercando di fare noi con il movimento 15M è molto importante perchè si tratta di una vera rivoluzione all’interno della rivoluzione, ovvero cercare di cambiare le cose dal basso. Bisogna cambiare la prospettiva giornaliera, in tutti i piccoli gesti quotidiani che si fanno in casa e fuori di casa. Partecipare alle assemblee, manifestarsi, parlare, decidere di ascoltare radio alternative per informarsi, creare piccole cooperative, sviluppare piccoli ambiti nei quali si possa essere autonomi nelle decisioni…tutto questo è un modo per fare il doppio gioco con il capitalismo: combatterlo dall’interno.
Punto quarto: non pensare di combattere contro i mulini a vento. Ci si puó concentrare sulla capacitá che hanno le persone di riorganizzarsi, senza farsi prendere dal panico, iniziando dalle cose piú piccole.
Mi stupisce che la gente si sorprenda di vedermi parlare alle assemblee del 15M. Anch’io faccio parte di questo movimento che trovo poderoso. Faccio anche parte di un gruppo che organizza seminari di economia critica. Sono aperti a tutti, liberi. Chiunque puó venire per informarsi su quello che accade. É interessante, non siamo molti peró suppongo che poi ognuno di noi racconti ad altri quello che ha sentito ed ascoltato. Bisogna cercare tutti i modi possibili per informare la gente della veritá. Poi ognuno, nel suo piccolo, prenderá le decisioni che ritiene opportune.
D’altronde che altro ci serve oggi per essere rivoluzionari?
Un tempo anche piccolo, ma possibilmente quotidiano, per formulare pensieri consapevoli, un buon libro per conoscere la veritá e magari un ombrello vero per ripararci quando piove.
Ma, davvero, perchè continuiamo a chiamarla “crisi”? Perchè non la chiamiamo “presa per il c..o”? Come si è arrivati a questo punto? Che peso hanno avuto e hanno ora gli Stati Uniti? Che peso hala Cina? Che cosa possiamo fare? Una Signora Economista come Miren puó dirmi come sará il mio futuro? Dove posso mettere i miei soldi per stare tranquilla? C’è un sistema alternativo alle Banche? Un sistema alternativo alle Banche etiche (che sono sempre “banche”)? Quanto pesano, se pesano, le manifestazioni di questi giorni e il movimento 15M? Che posso fare? Che possiamo fare? Che cosa dobbiamo fare? Come possiamo riprenderci? Che posso fare? Che posso fare?
Io camminavo sotto la pioggia, l’altro giorno, con un piccolo “ombrellinotreeuro” agganciato alla mano, buono solo per coprirmi la testa, ma tutto il resto stava inzuppato d’acqua: le mani, la borsa, i piedi, i pensieri gocciolanti. Era una pioggia umida e scrosciante, da foresta amazzonica, di quelle che i polmoni autoimplodono dentro al petto e ti senti soffocare. Camminavo e macinavo domande gonfie d’ansia. Ogni passo una domanda. Troppi passi, troppe domande. Ho visto parlare questa signora durante l’assemblea del 15M di fronte al Parlamento Catalano un mese e fa e ora arrivo all’appuntamento con circa 2503 domande nella testa da rivolgerle. Voglio una soluzione. Ora.
E lei c’è. Se ne sta lí seduta al tavolino del bar. Mi sorride tranquilla, elegante, pacifica come se niente fosse, come se attorno non si stesse consumando una guerra che ogni giorno fa sempre piú morti irraccontabili. Sembra rilassata come se non fosse anche lei una delle principali donne che resistono, combattenti. Quali sono le sue armi? Tanto per cominciare ha un ombrello vero – e da quanto tempo non ne vedevo uno – agganciato elegantemente alla sedia; poi ha due quotidiani aperti sul tavolo; poi ha uno dei suoi libri come segno di riconoscimento.
Eccomi qui di fronte a Miren Etxezarreta, economista critica, emerita professoressa dell’Universitá Autonoma di Barcellona.
Sbrighiamo le presentazioni e cerco nel cervello una domanda intelligente sulle 2503, ma purtroppo sul concetto di “Crisi” so solo quello che mi raccontano o che leggo o che ho visto nei documentari.
E ovviamente mi pare di iniziare con il piede sbagliato perchè anche se parliamo di numeri qui la soluzione non è una regola matematica. La soluzione pare risiedere in un nome, in un concetto nuovo dentro una nuova forma di vita, che ancora nessuno è riuscito a ribattezzare. Si puó dare una simile risposta in un’ora? No. Non si puó.
Ma scopriró solo alla fine che,dopo tutta quest’acqua che è scesa, dopo tutta questa fretta di sapere, dopo tutta quest’ansia di arrivare al dunque, sedersi a prendere un caffé e chiacchierare per sessanta minuti è sempre un buon inizio.
Potrebbe dirmi come sará il mio futuro?
Eheheh. Magari fossi una veggente! Sono solo un’economista, non posso raccontarti le cose come se guardassi dentro ad una sfera di cristallo. Ci sono dei fatti, si possono raccontare quelli, soprattutto per informare la gente sulla Veritá di quello che sta accadendo. Questo è quello che sento il dovere di fare. Potremmo iniziare da qui, che ne pensi?
Muy bien. Penso che sia perfetto.
La veritá è che la gente ne sa molto poco di quello che accade. La gente pensa alla Crisi come a una bestia da combattere, ma in realtá forse non sa nemmeno bene che significhi “crisi”. Cosí, aprofittando di questa ignoranza, gli Stati hanno iniziato – con la scusa del debito – a fare tagli al sistema sociale. Annullano molti dei diritti che avevamo acquisito in 50 anni di capitalismo – come il diritto ad un salario giusto, il diritto ad avere un lavoro, tutti i diritti sociali – per far uscire il capitale dalla grave situazione in cui si è ficcato.
Punto primo: la “CRISI” è la crisi del valore del Capitale, dentro al sitema capitalistico e non la si puó chiamare in altro modo. Il denaro ha perso valore con la speculazione finanziaria di questi ultimi anni. La perdita di valore del capitale, sta facendo perdere i vecchi livelli di vita di chi ne beneficiava, ampliando cosí la distanza tra ricchi e poveri. L’unico modo per tornare – per i detentori di capitali – ai livelli di vita passati è far “apretar el cinturon” alla gente come noi. Spremerci, sfruttarci, pagarci meno, tagliare dove si puó: scuola, salute, pensioni per esempio.
Non è sempre stato cosí. C’è stato un momento molto lungo nel quale il capitale ci ha fatto stare bene tutti quanti. Ma visto che non sono state prese decisioni sulla regolamentazione del flusso dei capitali, questo è il punto in cui siamo arrivati. Se questo processo continua – e temo che continuerá – si arriverá alla totale distruzione dello Stato Sociale. Poco tempo fa i lavoratori della SEAT hanno accettato un nuovo modello di lavoro – più pesante – senza aumento salariale per poter continuare a lavorare. In Italia è stato previsto un taglio di 65 milioni di euro. Da dove li prenderanno questi soldi? Questo non è il futuro, è giá il presente. Sta giá accadendo. È questo che la gente deve sapere. Se si distrugge lo Stato Sociale le conseguenze saranno – lo sono giá – tremende. Innanzi tutto il concetto stesso di Democrazia viene minato alla base dato che si accetta che sia l’economia a guidare uno Stato e non il contrario. Quando Zapatero afferma che “È il mercato che ci obbliga a fare i tagli”, il potere politico è giá stato inibito da quello economico.
Punto secondo: il concetto di Democrazia, all’interno del concetto della crisi del valore del capitale, viene meno, muore.
D’altro canto siamo dentro a questo sistema e dal mio punto di vista l’unico modo che abbiamo per salvarci è trovare soluzioni all’interno del sistema, non al di fuori. Far aumentare il valore del capitale abbassando i valori dei diritti sociali è un modo agressivo di risolvere il problema. Io credo che si possa invece trovare una forma diversa per uscire dalla crisi, per esempio ridistribuendo il capitale presente in una forma giusta, equa, senza toccare i diritti acquisiti. Il problema è che questo non interessa. Dentro l’attuale sistema capitalistico sono gli interessi di pochi a guidare le decisioni che ricadono su molti. C’è stato un momento nel quale ho pensato che forse le cose si potessero cambiare e fu quando Obama vinse le elezioni. L’immagine del capitale nell’”Era Bush” si era talmente corrotta che l’unica soluzione rapida per rivalutarla è stata quella di dargli una faccia nuova, fresca. Chi meglio di Obama – impegnato nel sociale, il primo presidente “di colore” ma non troppo, elegante, affascinante – avrebbe potuto adempiere a questo compito? Nessuno meglio di lui. Tutti ci sbagliavamo. Le persone che hanno guidato l’economia americana verso la crisi sono le stesse di cui Obama si è attorniato per continuare a guidare il paese. Nemmeno lui è riuscito a cambiare le cose…
Punto terzo: è possibile rimanere in un sistema capitalistico senza perdere i nostri diritti sociali, lasciando che il capitale smetta di crescere tanto o che cresca quello di altri stati in via di sviluppo (se questo fosse concesso ad un nuovo tipo di capitalismo).
Come si chiama questa forma politica? A dire il vero ha un nome, ma mi fa persino paura pronunciarlo tanto si è consumata la sua immagine nel tempo. Si chiamerebbe “Socialismo”. Ma, veramente, forse tutti insieme potremmo pensare di battezzarlo in un altro modo…D’altro canto ci sono esempi, negli Stati del Nord Europa, di come si possa gestire il capitale senza distruggere lo stato sociale. Quindi, certo che si puó fare qualcosa. Dal mio punto di vista le ultime grandi rivoluzioni si sono trasformate spesso in dittature perchè al loro capo c’era sempre un leader carismatico a guidarle. Sono arrivate alla gente, “dall’alto”. Quello che stiamo cercando di fare noi con il movimento 15M è molto importante perchè si tratta di una vera rivoluzione all’interno della rivoluzione, ovvero cercare di cambiare le cose dal basso. Bisogna cambiare la prospettiva giornaliera, in tutti i piccoli gesti quotidiani che si fanno in casa e fuori di casa. Partecipare alle assemblee, manifestarsi, parlare, decidere di ascoltare radio alternative per informarsi, creare piccole cooperative, sviluppare piccoli ambiti nei quali si possa essere autonomi nelle decisioni…tutto questo è un modo per fare il doppio gioco con il capitalismo: combatterlo dall’interno.
Punto quarto: non pensare di combattere contro i mulini a vento. Ci si puó concentrare sulla capacitá che hanno le persone di riorganizzarsi, senza farsi prendere dal panico, iniziando dalle cose piú piccole.
Mi stupisce che la gente si sorprenda di vedermi parlare alle assemblee del 15M. Anch’io faccio parte di questo movimento che trovo poderoso. Faccio anche parte di un gruppo che organizza seminari di economia critica. Sono aperti a tutti, liberi. Chiunque puó venire per informarsi su quello che accade. É interessante, non siamo molti peró suppongo che poi ognuno di noi racconti ad altri quello che ha sentito ed ascoltato. Bisogna cercare tutti i modi possibili per informare la gente della veritá. Poi ognuno, nel suo piccolo, prenderá le decisioni che ritiene opportune.
D’altronde che altro ci serve oggi per essere rivoluzionari?
Un tempo anche piccolo, ma possibilmente quotidiano, per formulare pensieri consapevoli, un buon libro per conoscere la veritá e magari un ombrello vero per ripararci quando piove.